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Della divinazione - 9788811363606
di Cicerone Marco Tullio Timpanaro S. (cur.) edito da Garzanti, 2006
- Prezzo di Copertina: € 15.00
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Informazioni bibliografiche del Libro
- Titolo del Libro: Della divinazione
- Autori : Cicerone Marco Tullio Timpanaro S. (cur.)
- Editore: Garzanti
- Collana: I grandi libri , Nr. 360
- Edizione: 13°
- Data di Pubblicazione: 2006
- Genere: letteratura greca e latina: testi
- Pagine: CIV-544
- Curatore: Timpanaro S.
- Dimensioni mm: 182 x 112 x 35
- ISBN-10: 8811363608
- ISBN-13: 9788811363606
Della divinazione: Introduzione, traduzione e note di Sebastiano Timpanaro «Mi meraviglio che un aruspice non si metta a ridere quando incontra un altro aruspice». Cicerone aveva ben presente il celebre motto di Catone il Vecchio mentre componeva il De divinatione (44 a.C.). Nel dialogo, il fratello Quinto, suo interlocutore, seguendo la dottrina degli stoici difende l'eterogeneo armamentario delle pratiche divinatorie, che va dal consultare gli oracoli all'interpretare il volo degli uccelli, al decifrare prodigi, portenti e inusuali segni celesti per ricavarne anticipazioni sul futuro. Cicerone, invece, ne è un fiero e convinto detrattore: tutti i fenomeni hanno cause naturali, anche quando appaiono straordinari, ed è meglio rassegnarsi all'ignoranza che cadere nella superstizione. E se da cittadino e uomo politico, nel timore che l'incredulità generi pericolosi sovvertimenti sociali è costretto a difendere il ricorso ai riti divinatori come instrumentum regni, in quanto filosofo egli denuncia con veemenza l'infondatezza e il carattere ridicolo di tali pratiche che alimentano terrori irrazionali finendo con l'inquinare l'autentico sentimento religioso.
Introduction, translation and notes by Sebastiano Timpanaro "I am amazed that a haruspist does not laugh when he meets another haruspice". Cicero was well aware of the famous motto of Cato the Elder while composing De divinatione (44 a.C.). In the dialogue, his brother Quinto, his interlocutor, following the doctrine of the Stoics defends the heterogeneous paraphernalia of divinatory practices, which goes from consulting the oracles to interpreting the flight of birds, to deciphering wonders, portents and unusual celestial signs to obtain anticipations of the future. Cicero, on the other hand, is a proud and convinced detractor: all phenomena have natural causes, even when they appear extraordinary, and it is better to resign oneself to ignorance than to fall into superstition. And if as a citizen and a politician, in the fear that unbelief generates dangerous social upheavals, he is forced to defend the recourse to divinatory rites as instrumentum regni, as a philosopher he vehemently denounces the groundlessness and ridiculous character of such practices that feed irrational terrors and end up polluting authentic religious sentiment.
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